Era il 21 gennaio di un anno appena iniziato, il 2021, ma che sembrava non avere un inizio e nemmeno una fine. Il tempo personale pareva essersi fermato e rimaneva solo quello scandito dal bollettini giornalieri della Protezione Civile sul numero di contagi e vittime del Covid-19, quel serpente velenoso che si stava nuovamente infiltrando tra gli affetti, i progetti e le certezze di un mondo stremato dall’attacco precedente. Risultava sempre più chiaro che non si trattasse solamente di un’emergenza sanitaria, ma di una emergenza nell’emergenza, quella psicologica. La salute mentale era sulla bocca di tutti, il Covid-19 aveva scoperchiato il vaso di Pandora: “Non c’è salute, se non c’è salute mentale”. La situazione sanitaria non era solo appesantita dai problemi fisici, ma dal disagio psichico e dallo stress che attraverso un’azione brillante e rispettosa della Costituzione, senza discriminazione alcuna, colpiva ogni essere umano. Nessuno da quel momento, dagli ospedali militari da guerra di Bergamo alle strade vuote di New York, avrebbe più potuto negare l’importanza delle relazioni per la nostra specie.

In quel momento stavo per terminare il tirocinio professionalizzante della durata di un anno, necessario ad accedere all’Esame di Stato che mi avrebbe abilitata alla professione di Psicologa. Tante erano le risposte che da quel percorso avevo ricevuto, ma tante più erano le curiosità e le domande che pendevano come una spada di Damocle sul mio futuro, un futuro difficile da immaginare in un anno senza inizio e senza fine. La giostra si era fermata e aveva fermato anche me, fino a quel momento presa dalla velocità e non dal movimento, da dinamiche di onnipotenza e non di possibilità, dall’affanno e non dalla piacevole e soddisfacente fatica di una passione. Decisi, allora, di riflettere su quella giostra. Il mio percorso professionale sarebbe proseguito con passione, ma come Giorgia “cittadina” — questa era la mia domanda — cosa avrei potuto fare?

La relazione continuava ad essere la risposta, continuava ad esserlo in modo sempre più limpido. Alle 13.55 di quel 21 gennaio, mi arriva un’email “Giorgia, dai un’occhiata al bando per il servizio civile in AUSL, può interessarti?”. Il titolo del progetto era il seguente “Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, gli operatori volontari possono fare la differenza!”. Io aggiungerei “la relazione”, quella concessa, quella rispettosa, quella d’ascolto avrebbe potuto fare la differenza. Così mi ritrovai a prestare servizio presso l’U.O. Dipendenze Patologiche di Rimini, in particolare presso il Centro Alcol e Fumo, un servizio che svolge attività di prevenzione, cura e riabilitazione rispetto alle dipendenze da sostanze legali, alcol e tabacco. Le dipendenze patologiche presentano una natura cronico-recidivante che si accompagna allo stigma e al pregiudizio derivante anche dal solo varcare la soglia della struttura segnalata da un piccolo cartello. La possibilità di creare un aggancio a questo servizio e poi di mantenerlo è resa ancora più lontana dall’elemento storico e culturale della legalità di queste sostanze, che ancora ad oggi alimenta l’immaginario del vizio dell’alcolista o del fumatore e che solo in casi evidentemente dannosi per sé e gli altri le affianca, senza poi necessariamente identificarle, al concetto di malattia e di dipendenza patologica. Il Covid-19 non aveva guardato in faccia nemmeno a queste persone, alimentando le fragilità e l’isolamento sociale che, in modo differente, impattavano sulle loro quotidianità. Durante il periodo di servizio ho potuto toccare con mano l’urgenza, a volte reale e a volte fittizia, l’intermittenza, l’ambivalenza dell’utenza che anima il servizio, ma ciò che più di tutto ho potuto osservare è la concretezza di questo piccolo, ma potente passo del racconto per bambini di Antoine De Saint-Exupery, Il Piccolo Principe:

Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla (. ..). Se tu vuoi un amico, addomesticami (. ..). In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…

In un racconto per bambini, ecco espresso quell’incontro tra due persone, quella relazione concessa, dotata di confini, unica, rispettosa e d’ascolto che credevo potesse essere uno degli strumenti per “poter fare la differenza”, anche se piccola.

Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore

Il tempo dedicato ad un’altra persona è forse uno dei doni primari più importanti che si possa fare e più in grado di tenere in piedi le relazioni, anche quelle più sfilacciate e piene di buchi. E il dono è reciproco, perché è da queste persone che si può imparare e apprezzare la sostanza, la concretezza e il valore vero dell’ascolto e del silenzio.

Grazie all’équipe del Centro Alcol e Fumo, maestra di relazioni.

Grazie alle persone.

Questa è la mia esperienza di partecipazione e il mio invito a godere di questo regalo.

Giorgia Bellei

Operatrice volontaria presso U.O. Dipendenze Patologiche, Centro Alcol e Fumo (Rimini).