Svolgere il servizio civile significa contribuire per un anno di tempo allo sviluppo della propria società. Ma quale sviluppo? Di certo non quello degli influencer, della tecnologia, insomma di tutte quelle simbologie di progresso da cui siamo bombardati ogni giorno. Con il servizio civile abbiamo l’onore e il merito di contribuire allo sviluppo sociale e morale della società. Parlare di sviluppo sociale della società non è una mera tautologia, bensì si tratta di evidenziare l’importante aiuto che si può offrire, in qualità di operatori volontari di servizio civile, alle strutture e istituzioni che si occupano dei più deboli e degli aspetti più fragili della vita da cui nessuno di noi, purtroppo e per fortuna, è esente.

Io ho scelto in modo consapevole, visto che già avevo alle spalle un’appassionante esperienza di servizio civile regionale in una comunità di pronta accoglienza, di operare in una comunità educativa, Casa Clementi, nella nostra cara Rimini, la quale ospita ragazzi minorenni che, per un qualsiasi motivo, non hanno persone adulte che si occupino di loro o che si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità nella loro vita. Essere volontari in una comunità, quindi svolgere la funzione di educatore o educatrice, significa prendere parte alla quotidianità di questi ragazzi e ragazze, preparare con loro i pasti, aiutarli nella gestione degli impegni, a svolgere i compiti, accompagnarli a scuola, sostenerli nei loro doveri, condividere con loro momenti necessari di leggerezza, rincuorarli quando si sentono soli e tristi, rafforzarli nell’autoaffermazione affinché sviluppino la propria personalità nella maniera più armonica possibile.

Vivere la comunità significa vivere immersi in un oceano di emozioni, profondo come gli abissi, alle volte cupo, alle volte affascinante; significa avere tra le mani un vetro smerigliato che si ammira alla luce del sole e rivela in ogni propria sfaccettatura l’essenza complessa della vita. La comunità è il luogo in cui ci si ritrova dopo essersi smarriti e che si auspica sia un luogo di partenza per un futuro migliore. Per me la comunità ha gli occhi dolci e profondi quali possono essere quelli di un bambino o adolescente e ha il suono delle sue lacrime amare e arrabbiate e delle sue risate cristalline e innocenti. Perché innocenti? Perché sono ragazzi e ragazze, che si sono ritrovati vittime di adulti che hanno scritto per loro un presente e un futuro troppo difficili, che hanno ordito una matassa di difficoltà e dolori che si prova ogni giorno a sbrogliare per poter ricreare un ordine, una direzione, un cammino nuovo che li porti alla serenità.

Riprendo l’espressione di sviluppo morale: di certo con essa non volevo alludere all’essere moralisti o perbenisti, ma alla necessità di avere dei valori e di appellarsi a quelli per potere svolgere al meglio il proprio compito. Trovare un faro nella nebbia o nell’oscurità non è frutto del caso o della fortuna, ma è frutto di una scelta di sforzo, di intelligenza e di applicazione costante. È frutto di quella tensione quotidiana di cercare la bussola della vita e di provare a consegnarla a questi ragazzi e ragazze, perché non abbiano più paura di smarrirsi. Essere umani al 100% vuol dire sbagliare e pure tanto, ma vuol dire anche avere la possibilità di scegliere di trovare valori per indirizzare la propria vita nella maniera più giusta possibile.

Per me, svolgere il servizio civile, significa quindi un uso constante di quell’intelligenza emotiva di cui si sente tanto parlare ma che viene sottovalutata fin troppo nella vita scolastica e lavorativa di tutti i giorni: come dice Daniel Goleman, “le nuove scoperte scientifiche (…) ci assicurano che se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali – in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico all’intelligenza emotiva – potremo sperare in un futuro più sereno.”[1]

Fare il servizio civile non è una scelta di debolezza o ripiego, perché non si ha un lavoro o di meglio da fare, ma vuol dire scegliere di mettersi a disposizione degli altri per un bene più grande, un bene che non esiste gratuitamente o eternamente, ma che ogni giorno gli esseri umani contribuiscono a creare consapevolmente. Se è vero che la società nel suo complesso è il ritratto di noi stessi, che il microcosmo si riflette nel macrocosmo, allora ognuno di noi può e deve cercare di contribuirvi in maniera positiva e appassionante, e – di questo sono convinta – non esiste miglior modo del servizio civile.

Priscilla Fabbri

Operatrice volontaria presso Casa Clementini – Coop. Soc. Il Millepiedi


[1] Daniel Goleman, “Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici”, BUR, 2020, p. 7.