Quando ci hanno proposto questo progetto era il 20 di aprile, nel bel mezzo della pandemia, e io ricordo di aver pensato “a questa cosa non posso scampare, devo per forza fare qualcosa per rendermi utile”.

Così, un po’ titubante e in punta di piedi, ho preso parte alla prima videoconferenza ascoltando ciò che avevano da propormi, ma quando ho detto: “Sì, contatemi, posso farlo”, stavo già pensando a tutti i modi possibili per poter “scappare” dalla mia decisione. Ero convinta che da sola non sarei mai riuscita e che io con la mia poca autostima e tutto il mio pessimismo non avrei mai e poi mai potuto aiutare qualcuno a stare meglio, più probabilmente avrebbero potuto farlo loro con me. Così ho convinto altre due ragazze a prendere parte a questa esperienza, questo mi ha permesso di sentirmi un pelino più tranquilla e “al sicuro” da chissà quale pericolo.

La prima videochiamata è passata con non poca ansia e preoccupazione da parte mia e una volta chiusa ricordo di aver pensato: “Avrò sbagliato a chiedere qualcosa? Ho parlato a sproposito? Sono stata troppo noiosa? Ho detto troppo o troppo poco? Cosa penseranno di me?”

Ma quando il giorno dopo ho chiamato G., l’ho sentita rispondere con un così spontaneo e allegro: “Ciao Michi”, che mi ha fatto pensare che forse, ma solo forse, così antipatica non potevo esserle.
“Ho capito che eri tu anche se avevi il numero sconosciuto, ho riconosciuto la tua voce, hai visto?”, questa è stata la prima volta che io e G. siamo entrate in sintonia e soprattutto la prima volta in cui ho capito che non mi dovevo comportare in un certo modo, usare un certo tono o rendermi “presentabile” ogni volta, ma che semplicemente dovevo essere me stessa.

Ho smesso di pettinarmi prima di ogni nostro incontro, di migliorare il mio trucco o i miei vestiti e mi sono concessa anche qualche parolaccia ogni tanto; ora mi presento in videochiamata in pigiama e con la faccia ancora segnata dalle pieghe delle lenzuola o del cuscino, perché so che non saranno loro a giudicarmi per questo e che allo stesso modo io non giudicherò nessuna di loro.

La volta decisiva, però, quella in cui ho capito di aver fatto qualcosa di buono è stata quando ho risposto a una videochiamata inaspettata di I.

Di solito abbiamo giorni e orari prestabiliti, ma quella volta mi era sembrato scortese non rispondere, così nonostante fossi stesa sul letto mezza addormentata, le ho chiesto se fosse successo qualcosa e se stesse bene; inutile dire che la chiamata era partita inavvertitamente e che I. non voleva parlare con me, ma se voi aveste visto, anche solo per un attimo, il suo sorriso quando io mi sono preoccupata per lei, avreste capito quello di cui sto parlando.

Penso di non aver mai visto nessuno tanto felice per un semplice “tutto bene?”. Mi ha riempito il cuore di gioia, mi sembrava di aver fatto chissà quale gesto enorme e impossibile, quando in realtà avevo solo fatto una domanda semplicissima. Ho pensato che allora, forse, anch’io potevo essere davvero utile a qualcuno.

Le volte successive, quando una di noi sbagliava domanda e toccava qualche “tasto dolente” né I. né G. ci facevano pesare la cosa, rispondevano con molta nonchalance quasi il problema fosse più nostro che loro.

Una delle tante volte, mi ero lamentata di dovermi allenare subito dopo la videochiamata continuando a dire quanto fossi stanca e svogliata.

“Complimenti a te Michela, ti sei appena lamentata di avere una possibilità che due ragazze sulla carrozzina, non hanno, brava”.

Volevo sotterrarmi, inventarmi una scusa e sparire, ma G. ridendo mi ha risposto: “Che ci vuoi fare Michi, anche io dopo devo allenarmi a “reppare”, tu alleni il corpo e io la mente, a ciascuno il suo”, mi aveva salvato e dato una lezione di vita al tempo stesso, lezione alla quale ho pensato per tutto il pomeriggio.

Non so come G. possa sempre essere così allegra e felice o come I. possa avermi fatto sentire così bene quella volta, ma so perfettamente con quale motivazione ho iniziato questo percorso; volevo stare bene e loro potevano aiutarmi, in poche parole avevo pensato solo a me stessa e al mio egoismo, ma so anche perfettamente per quale motivo sta continuando, perché loro mi hanno fatto capire che persino il mio pessimismo e il mio continuo lamentarmi, possono diventare un mio punto di forza e una mia caratteristica.

G. scherza su di me ogni qual volta possa farlo, mi prende in giro in ogni modo possibile e io ho imparato a prendere le cose con autoironia e a vederle da un punto di vista completamente diverso. Se mi chiedessero di riassumere questa esperienza in poche parole direi che queste due ragazze mi hanno insegnato che esiste sempre più di una prospettiva dalla quale si può osservare ogni cosa e io posso solo che ringraziarle.

Michela

Operatrice volontaria in servizio civile presso il CEIS (Arci Servizio Civile Rimini)